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Il pianeta Saudar

Capitolo 5

Quando Carsidia ebbe finito di leggere, Martino non osò aprire bocca. Con la testa piena di pensieri che la lettura gli aveva suscitato a sciami, si avviò verso la scala, mentre la ragazza, silenziosa e visibilmente commossa, interrompeva, col suo telefonino, la proiezione.

“Perché hai tanta fretta di uscire?” chiese Carsidia mentre lo raggiungeva.

Scesero le scale. Fuori, in giardino, qualche raffica violenta scuoteva il fogliame annunciando una tempesta imminente.

“Perché?” ripeté Carsidia, mentre lo conduceva alla macchina.

Martino si era ripromesso, come spesso aveva fatto sulla terra, di non mentire e di non nascondere i suoi pensieri agli altri.

“Ascolta.” disse fermandosi a metà strada “Ho visto che per te le parole della Costituzione sono qualcosa di sacro a cui non si può disubbidire. Da noi, in terra, non è così. Spesso le leggi ordinarie contraddicono quelle fondamentali. E, peggio ancora, le sentenze dei giudici spesso sono formalmente corrette, ma sostanzialmente ingiuste. Per quanto qualche raro saggio si sia sforzato, nel corso dei secoli, di trasmettere messaggi ragionevoli e pacifici alla gente, una vera giustizia non esiste sulla terra. E perché non esiste? Perché l’uomo, come ogni animale, ha dentro di sé un codice di comportamento che difficilmente si può modificare. Se un uomo si arrabbia con un suo vicino deve per forza aggredirlo in qualche modo, altrimenti dovrà pagare il suo autocontrollo con qualche malattia psicosomatica”.

Carsidia scoppiò a ridere. Poi disse:

“Va bene, quello che si arrabbia e si sfoga poi si sente meglio, ma quello che ha subito l’aggressione sta peggio!”.

“Certo, certo… potrebbero anche star peggio entrambi, sentirsi in colpa o, comunque, non essere per niente appagati. Ma, voglio dire, l’impulso aggressivo, o anche l’appetito, il bisogno, è molto più forte di qualunque legge morale, tanto da indurre l’uomo a trasgredire in ogni momento, ad ogni occasione. Come fa, poi, un uomo indigente a rispettare la proprietà, protetta dalla legge? Quando ha fame un uomo deve sfamarsi e, per farlo, può anche arrivare ad uccidere”.

“Piano, piano. A sentire te, sembrerebbe che le leggi buone sono state scritte, ma che nessuno è in grado di rispettarle. Ma io, che ho studiato tutto della terra, posso dire tranquillamente che nessuna buona legge è mai stata scritta: nessuna legge che serva ad una vita tranquilla e pacifica e impedisca a chiunque di compiere delitti”.

“Non diciamo scempiaggini!” esclamò Martino spazientito “Io non ho detto che siano state scritte buone leggi. Ma come può una legge impedire i delitti?”.

“Una legge no, e neppure un’accozzaglia di migliaia di leggi assurde e contraddittorie, ma un codice corretto, impostato su principi di convivenza pacifica, che spazzi via dal mondo qualunque situazione che possa convincere una persona a nuocere…”.

Martino non poté continuare ad ascoltare. Stava veramente parlando con una monachella fanatica. Si voltò, raggiunse la macchina e, prima di salire, aspirò profondamente l’aria fresca e diede un ultimo sguardo ai cespugli del giardino agitati dal vento e al bianco palazzo della Costituzione. 

Carsidia lo raggiunse e riprese: “I popoli della terra sono sempre divisi in caste, classi o ceti, che comportano rivalità e soprusi tali da impedire anche la scrittura di buone leggi. Non accade mai che un ceto debole partecipi realmente alla legislazione. Quando sembra che lo faccia è accaduto semplicemente che quel ceto non è più tanto debole e che ai potenti è apparso chiaro che non conviene più opprimere quelli che prima non potevano reagire ed ora possono”.

Salirono sulla macchina.

“Ok.” disse Martino mentre Carsidia avviava il veicolo “Le tue ultime affermazioni sono condivisibili. D’altra parte io sono convinto che la voglia di prevalere sia naturale e che la legge non possa soffocarla. Se lo fa va contro la natura e quindi non funziona”.

Carsidia lo guardò con aria severa.

“La prepotenza” disse “deve essere soffocata. Certamente è inutile farlo se non si eliminano prima le condizioni che favoriscono i soprusi e la violenza”.

“E come, come? Come si eliminano queste condizioni? Quali sono?”.

“Beh” disse Carsidia “le condizioni sono semplicemente le disuguaglianze. Se una persona ha ricchezza e potere, ha un alloggio sontuoso, può sfamarsi a sazietà, può avere tutti i piaceri che desidera, può essere curata quando è malata, mentre un suo vicino povero e impotente non ha quasi niente per sopravvivere, la conseguenza di questa situazione è ineluttabile: o il povero si ribella e si impadronisce di almeno una parte delle ricchezze del ricco o dovrà accettare di soffrire e soccombere. Ma se la legge impedisce che i beni della terra siano conquistati dai prepotenti lasciando ogni possibile risorsa a disposizione di tutti, chi potrebbe pensare di aggredire qualcuno? Che vantaggi darebbe la violenza?”.

“Ora è chiaro” disse Martino. E scoppiò a ridere. Carsidia lo guardò con aria offesa. “Siete comunisti.” riprese Martino “Durerà poco. In terra il comunismo è tramontato quindici anni fa”.

“La nostra” disse Carsidia sorridendo con aria compassionevole “è una situazione stabile. Non abbiamo nemici. O almeno… non abbiamo nemici capaci di reagire”.

“Che vuoi dire?”.

Carsidia sorvolò: “L’egoismo dell’uomo è comune a tutte le specie. E’ naturale. E’ il suo spirito di sopravvivenza. Ma non deve trasformarsi in brutalità. Non gli conviene. Deve capire che la violenza verso gli altri è sempre complementare alla violenza verso se stessi: ne è la causa o l’effetto o addirittura è lo stesso fenomeno. Chi è sadico è sempre anche masochista in tempi diversi o coincidenti. E’ giusto stabilire una priorità: penso prima a me e poi agli altri. Anzi se non salvo me stessa, come posso salvare gli altri? Ma anteporre il mio interesse a quello degli altri non significa affermare la mia superiorità fino ad opprimere o addirittura a sopprimere altre persone…”.

Martino ascoltava a testa bassa, con aria rassegnata. Sembrava quasi che si stesse addormentando.

“Che hai?” chiese Carsidia.

“Stiamo andando lontano…” disse Martino “Quello che sto pensando è che la vostra costituzione è molto bella, idilliaca, ma ingenua. Anche sulla terra esistono costituzioni di grande saggezza. Per esempio, la Costituzione del mio paese è un capolavoro di saggezza. Ma questi tipi di documenti, con l’andar del tempo, finiscono per diventare talmente estranei alla mentalità comune, che rimangono lettera morta”.

“Ma tu” disse la ragazza “consideri soddisfacente questa situazione? C’è qualcosa che vorresti cambiare? Vorresti modificare la Costituzione, le altre leggi o la mentalità comune?”.

“Beh, vedi,” rispose l’uomo, mentre guardava, sotto di lui, il mondo verde-bruno che sfrecciava via “non so se posso confidarmi con te…”.

Con questa confessione imbronciata, provocò di nuovo il riso della ragazza. Poi riprese: “Ecco, da giovane, tutti mi consideravano un timido. Mi sudavano le mani, in presenza di estranei. Era il mio modo di reagire alla paura che avevo di gente che vedevo sempre come… feroci inquisitori. Poi, crescendo, mi sono reso conto che anche gli altri hanno paura. Ognuno ha paura degli altri e reagisce mostrando i denti e ringhiando, esattamente come fanno i cani. Non se ne accorgono, non sanno di avere paura. Quello che chiamano sorriso non è altro che un modo per mostrarsi sicuri e, possibilmente, superiori. Quando parlano velocemente, senza dare il tempo all’interlocutore di afferrare un argomento e di ribattere, hanno paura: vogliono sottrarsi alle argomentazioni degli altri… Ma tu perché hai riso? Che c’è di ridicolo nel fatto che io abbia voglia di confidarmi con te?”.

“Acc…” rispose Carsidia “Sei sorprendente. Non sembrava che la mia risata ti avesse colpito un minuto fa. Io non ho riso perché tu voglia confidarti con me, ma perché non sai se puoi fidarti di me. Ammetti che questo possa destare il riso in un essere estraneo ai tuoi crucci e dubbi, che ti vede e ti giudica come tu potresti fare con un criceto o un topolino…”.

Martino la guardò con occhi sgranati, sentendosi drizzare i capelli e accapponare la pelle.

“Non guardarmi così” aggiunse Carsidia accarezzandogli una gota con un dito e distraendosi dalla guida “Non ti sto minacciando”.

In quel momento il veicolo ebbe uno scossone; si aprì un opercolo e la guidatrice fu espulsa.

Martino si sentì soffocare e fu preso dal panico. L’opercolo si chiuse immediatamente e l’aereo continuò la sua corsa folle come se niente fosse successo.

Un piccolo altoparlante gracchiò sul pannello dei comandi. L’uomo cercò la manopola del volume, ma la confusione mentale gli impedì di afferrare il significato delle figurine illustrative. Prese l’unica decisione sensata: non toccare nulla.

Si ricordò del telefonino. Mentre lo prendeva ne udì lo squillo. Provò a premere un tasto verde, appoggiò lo strumento all’orecchio, udì la voce di Carsidia e subito il livello del suo stato di allarme si abbassò.

“Mi senti, Martuccio?”.

“Ti sento”.

“Stai sorvolando una zona turbata. Afferra la cloche e fa tutto quello che ti dico”.

Quando, dopo molti minuti, gli ordini di Carsidia furono tutti eseguiti, la navicella atterrò dolcemente in una radura. Carsidia, munita di microrazzi, volando come un calabrone, rientrò da dove era uscita.

Martino sorrise per la gioia insieme di essere riuscito ad atterrare senza provocare altri disastri e di essersi riunito alla sua guida meravigliosa. I sintomi della paura, tuttavia, non erano ancora scomparsi. Si sfiorò la fronte con le dita e si accorse che era madida. Carsidia gli asciugò tutto il volto con un foglietto di carta assorbente e poi gli baciò la fronte. Si mostrò addolorata per l’incidente e lo strinse un po’ a sé per confortarlo, come se fosse un bambino. E Martino si sentì abbastanza rassicurato da esprimere tranquillamente il suo ricorrente pensiero: “Ma allora non è tutto così perfetto”.

“No, certo… E’ colpa mia. Avrei dovuto predisporre il posto del passeggero per l’espulsione automatica di emergenza e darti questi microrazzi. Mettili ora… Ecco, così”.

Gli allacciò una cintura con microrazzi incorporati.

“Però” continuò “se tu non fossi rimasto al tuo posto, avremmo rischiato di perdere la navicella”.

“Ma che fine avrei fatto” disse Martino “se tu non avessi potuto comunicare con me per darmi le istruzioni?”.

“Probabilmente, dall’altra parte, la navicella sarebbe stata intercettata da una nostra postazione e teleguidata verso un aeroporto o un altro deposito sotterraneo. Ma così la mia missione sarebbe fallita”.

“Che vuol dire ‘dall’altra parte’?”.

“Ti ho detto che stavi sorvolando una zona turbata. E’ un’area del pianeta abitata da una popolazione… diciamo primitiva. Quest’area è protetta da un vecchio scudo magnetico che può ingannare gli strumenti della navicella…”.

“Come, come? Una popolazione primitiva? Una terza specie intelligente?”.

“No. Sono sempre delle nostre due specie, ma non accettano le nostre regole”.

“Non ho capito”.

“Hanno un’altra costituzione, fondata, come quelle terrestri, sulla libertà senza limiti dei forti e sulla sopraffazione dei deboli. In quell’area, più o meno, si vive come in uno stato terrestre”.

“Ma come è potuto succedere? Io cominciavo a convincermi che voi aveste dentro di voi, nel vostro codice genetico, una natura più mite di quella che divampa nel cuore dell’umanità. Questa notizia mi sconvolge”.

“Beh, l’hai detto tu, non tutto è perfetto su Saudàr. Ma, vedi, i nostri antenati non potevano non rispettare la libertà dei, diciamo così, ‘dissidenti’. Per questo li hanno isolati con uno scudo protettivo in un territorio abbastanza ampio da permettere loro una vita agevole, non ostante il disordine demografico a cui sono dediti.”.

“Questa cosa, sul nostro pianeta, si chiama deportazione, non rispetto della libertà”.

“Già – ribatté Carsidia – ma qui si è scelto di non correre rischi. Chi preferisce vivere in un regime che ritiene di libertà senza fine può tranquillamente trasferirsi nel territorio protetto, a condizione che il loro governo, anzi qualcuno dei loro governi, li accetti. Devono passare un esame. Ogni anno c’è qualcuno che ci prova”.

“E ci sono casi di migrazione contraria?”.

“Ci sono tentativi di fuga che raramente riescono”.

“Che vuoi dire? Chi li ferma?”.

“I dissidenti dovrebbero chiedere un permesso al loro governo, ma sanno che non lo otterrebbero, e quindi cercano di passare dall’unico varco dello scudo, che però è sorvegliato notte e giorno”.

“Ah! – la interruppe Martino – conosco questa situazione. E’ come ai tempi del muro di Berlino! Solo che allora i dissidenti perseguitati dal regime comunista cercavano di scappare verso il mondo libero”.

Carsidia lo fissò con una smorfia ironica. Poi riprese:

“Non c’è nessuna differenza. Tutti cercano di riconquistare una libertà che ritengono di avere perduta. E la libertà è dalla nostra parte. Noi non impediamo ai nostri ‘dissidenti’ di emigrare verso il mondo che chiamiamo ‘protetto’, e neppure ai loro dissidenti di venire da noi, se riescono a passare la barriera di sentinelle. Sono loro invece che, prima di ammettere qualcuno nel loro mondo, lo sottopongono ad esami severissimi… E’ anche vero che siamo noi a mantenere attivo lo scudo magnetico. Loro non posseggono i mezzi tecnici e scientifici per annullarlo… Oppure non vogliono farlo”.

“E siete sempre voi, quindi, a mantenere attivo il varco di cui mi parlavi”.

“Sì, certo…”. Lo guardò negli occhi con intensità inconsueta. Martino pensò che stesse cercando di leggergli il pensiero.

“Capisco i tuoi dubbi e le tue curiosità” disse Carsidia e a Martino si drizzarono ancora una volta i capelli.

“Tu sai che noi non abbiamo armi offensive e distruttive. I Protetti invece ne hanno e le usano tra loro. Si uccidono, si disturbano, si tormentano continuamente. Sono divisi in città-stato, alcune apparentemente democratiche, altre palesemente asservite a un tiranno. Se questo non bastasse, in ogni città esistono caste dominanti e folle di schiavi, proprio come sulla terra…”.

“Non esageriamo – la interruppe l’uomo sorridendo – lo schiavismo è stato abolito in tutto il mondo da almeno 100 anni…”.

“Ah, sì? E come chiami il lavoro degli spazzini, dei manovali, delle casalinghe, degli autisti, dei portaborse, dei contadini, degli allevatori di animali, delle prostitute? Queste e molte altre categorie vengono mantenute in vita solo per servire le famiglie di rango superiore. Chi non si assoggetta viene licenziato e abbandonato nella miseria. Da quel momento può solo frugare nei rifiuti, dormire in una macchina o essere assistito da vacillanti organizzazioni caritatevoli che gli forniscono un pasto, ma non sempre un letto per dormire”.

Qui Martino cominciò ad arrabbiarsi.

“Basta! – gridò – Questa è bieca ideologia marxista! Io per trovare un lavoro ho dovuto studiare per molti anni, ho sgobbato, ho buttato l’anima! La gente che viene licenziata o che non trova mai un lavoro… è perché non ne ha le capacità. Certo, anch’io in certi momenti ho perso la pazienza e ho corso il rischio di essere licenziato. Ma ho lottato con tutte le forze per non perdere il mio posto e per evitare guai alla mia famiglia. Questi disgraziati, questi inetti, debosciati non hanno voglia di far niente e finiscono a drogarsi nei centri sociali!”.

Martino, pur accecato dalla rabbia, si rese conto di avere esagerato e di avere detto cose in cui non credeva: nella sua esperienza terrestre aveva capito chiaramente da un pezzo come la cosiddetta meritocrazia fosse sempre una scusa accampata dai potenti per giustificare l’oppressione dei deboli e che, nella realtà, si traduceva sempre nella premiazione degli amici, non dei più meritevoli. Si accorse di essere sudato e abbassò un poco la cerniera della tuta. La cintura di microrazzi gli sembrò troppo stretta. Tentò di allargarla ma non seppe farlo. Carsidia lo aiutò.

“Beh - riprese Martino – forse non hai tutti i torti. In un certo senso esiste… o esisteva ancora una forma di schiavismo sulla terra”.

Gli venne in mente che non sapeva se l’umanità fosse ancora in vita sulla terra.

“Certamente – disse Carsidia - nei millenni della vostra civiltà qualche voce isolata ha cercato di avviare un progresso di pensiero, ma questo progresso è troppo lento. A noi, dal nostro punto di vista, sembra che si fa qualche passo in avanti e poi si torna indietro. E non si arriva mai ad abbattere i pregiudizi che vi portano a perpetuare le divisioni. E così non riuscite mai a essere veramente liberi dalla voglia di opprimere, di ingannare, di tormentare gli altri. E questo porta sempre alla stessa inevitabile conclusione: voi soffrite anche più delle vostre stesse vittime”.

Martino, ormai, era stanco di queste chiacchiere. Guardò fuori. Le cime degli alberi, lì intorno, sembravano impazzite. In alto grandi nuvole scure si erano addensate.

“Andiamo – disse Carsidia – rientriamo alla base. Per oggi ne abbiamo abbastanza”.


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