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Il pianeta Saudar

Capitolo 3

Mentre conversavano avevano ripreso a camminare, avevano raggiunto la strada e la stavano percorrendo. Martino si fermò e si guardò intorno. Si accorse che si erano allontanati dall’abitato e che la strada, lunghissima e diritta, larga almeno venti metri, penetrava come un cuneo grigio scuro nel cuore della foresta verde-blu e, con la foresta, si perdeva all’orizzonte. Sulla terra le strade immerse nel verde hanno un fascino particolare: spesso le chiome degli alberi si uniscono formando un tunnel ricco di squarci azzurri e di raggi iridescenti. Le strade più belle, comunque le si percorra – a piedi, in bicicletta o in automobile – non sono quelle diritte, sono quelle tortuose: ad ogni curva l’ignoto è in agguato e tiene l’animo sospeso e beato insieme. Le strade rettilinee, le ‘fettucce’, sono noiose, faticose e, in automobile, più pericolose di quelle curve. Le grandi pianure, quando non sono almeno animate dai tronchi e dalle chiome degli alberi, o almeno interrotte da minuscole alture, non sono altro che inquietanti deserti.
Qui la strada, costruita con mezzi e metodi inimmaginabili, da alieni, la cui industriosità non era visibile nelle diverse fasi operative, dal momento che non c’era nessun cantiere attivo, appariva come un’oscena fenditura nel corpo vivo della foresta che frusciava, mormorava, profumava e danzava ai colpi di vento, tutto intorno.
I due camminavano sul lato destro, in una corsia delimitata da una linea bianca alla quale Martino andò accostandosi. Sul punto di scavalcarla per raggiungere l’altro lato della strada, dove aveva intravisto qualcosa in movimento, fu bloccato dalla sua custode che gli afferrò il braccio destro e lo strattonò. Un attimo dopo si udì un sibilo e si vide un oggetto volante venire velocemente loro incontro tenendosi al centro della strada a non più di dieci metri dal suolo. Furono immediatamente colpiti da una ventata poderosa. Martino capì che, se avesse superato la linea bianca, lo spostamento d’aria avrebbe potuto gettarlo a terra.
“Hai visto?” disse Carsidia ridendo “E’ uno dei nostri mezzi di trasporto… Un solo modulo… Probabilmente va al nostro ospedale per qualche riparazione”.
“Vuoi dire che su quel proiettile ci sono delle persone?”.
“Certo. Uno o due tecnici con i loro strumenti”.
“Ma questi bolidi volanti seguono sempre la strada?”.
“Questi sì, perché sono alimentati dall’energia solare accumulata dalla strada…”.
“No! E’ impossibile! E come farebbe a prendere quest’energia?”.
“Vedi quelle due linee rosse al centro della strada?”.
"Sì”.
“Bene, quando la macchina passa sulla strada emette un raggio laser che colpisce una delle due linee e provoca l’emissione di un raggio laser enormemente più potente, di ritorno dall’altra delle due linee, che va ad alimentare gli accumulatori della macchina. La successione dei raggi di comando e delle risposte avviene alla normale velocità della luce, per cui la macchina può mantenere, finché resta sulla strada, la velocità che hai potuto vedere”.
“Hai detto che… esistono altri tipi di macchine volanti, che non sono obbligate a seguire le strade?”.
“Sì. Se vuoi ne possiamo usare una”.
“Davvero?”.
“Certo. Tra circa un chilometro raggiungeremo un deposito”.
Martino guardò verso l’orizzonte seguendo la strada con lo sguardo, ma non vide nessun edificio.
“Naturalmente” disse Carsidia “è un deposito sotterraneo”.
“Ah!” disse Martino “Sai, per ora… vorrei lasciare la strada e vedere un po’ di foresta”.
“Beh, qui non potremmo. Il sottobosco è inaccessibile. Dobbiamo comunque raggiungere il deposito. Là c’è un sentiero”.
Quando arrivarono al deposito Martino si sentiva stanco, perciò accettò di rimandare l’escursione a piedi e seguì la sua guida nel sotterraneo. Scendendo sul primo gradino provocarono l’accensione delle luci. Nessun custode era ad accoglierli. Una fila di trenta macchine, simili a piccole fuoristrada, erano in attesa dei possibili utenti. Sembravano un trenino: ogni macchina era agganciata alla successiva. Davanti alla prima c’era una lunga rampa in salita. Sembravano normali automobili tutte uguali di forma, ma diverse di colore. Carsidia andò a premere una leva sul retro della prima e la sganciò dalla successiva. La macchina sganciata era di colore giallo.
Martino si domandò come avrebbe fatto a scegliere un colore diverso. Poi vide che le macchine erano disposte su una linea rossa, simile alle due che servivano all’alimentazione dei bolidi sulla strada. La linea rossa era come un binario morto che curvava davanti alla prima macchina, tornava indietro e raggiungeva il retro dell’ultima. Era facile capire che bastava sganciare la macchina del colore scelto dalla precedente, spingere - probabilmente con un comando - tutte le macchine precedenti e agganciarle in coda alla fila.
Carsidia aprì la porta di sinistra, si mise alla guida e invitò l’uomo a salire dall’altra parte. Quando Martino fu seduto alla sua destra, Carsidia premette un tasto del suo telefonino multi-uso e provocò l’apertura del portellone in cima alla rampa. Poi la macchina si avviò con un lieve sibilo, percorse la rampa a velocità crescente e subito decollò. E le ali? Martino guardò fuori attraverso il vetro e le vide, piccole, in basso, verso il retro, evidentemente sufficienti per la grande velocità. Stavano seguendo la lunghissima strada di prima ad un’altezza di circa 50 metri. La foresta scorreva ad una velocità che non permetteva di osservare nessun particolare.
“Dove stiamo andando?” chiese Martino.
“Facciamo un piccolo giro turistico nei dintorni. Vuoi?”.
Dopo un attimo la macchina si bloccò e rimase ferma nell’aria come un colibrì. Martino guardò le ali: erano ferme. Ci doveva essere un congegno, sotto il veicolo, che gettava aria. Infatti le chiome degli alberi presero a vibrare freneticamente e ad abbassarsi formando un avvallamento. Poi la macchina si diresse lentamente verso una radura, al centro della quale si ergeva un edificio alto, con gli usuali terrazzi eccentrici, tutto di colore avorio e con parti intagliate e istoriate.
“Che cos’è?” chiese Martino.
“E’ il palazzo della Costituzione”.
“Cioè?”.
“In questo palazzo è custodita la Costituzione di Saudàr”.
“Che significa? Non capisco”.
“Come fai a non capire. Anche sulla terra le costituzioni sono importanti”.
“Già, ma non vengono custodite in palazzi come questo. Vengono stampate e distribuite al pubblico, vengono lette nelle scuole, dove, a volte vengono studiate e imparate a memoria…”.
“Questo si fa anche qui, ma il primo esemplare, antichissimo, ritrovato dagli archeologi, è conservato in questo palazzo. E molti turisti, studiosi e devoti vengono a vederlo”. “Ah, ecco. E quanti anni ha questo esemplare?”.
“Questo non è ben chiaro. Le prove scientifiche attestano almeno 10.000 anni, ma gli storici sostengono che è impossibile che abbia più di 3.000 anni”.
“Ah, meno male. Credevo che su questo pianeta ci fossero solo certezze”.
Intanto erano scesi dalla macchina e percorrevano un breve viale fiancheggiato da aiuole fiorite e da alberi bassi simili a salici. Non si vedevano in giro altri turisti né personale di custodia.
Sul portone chiuso un frontone triangolare portava una scritta in caratteri cuneiformi che Carsidia lesse:
“Inchinatevi, pellegrini alla maestà della legge”.
A Martino venne da ridere, ma Carsidia, tutta seria, chinò il capo e osservò un attimo di silenzio. Poi, col suo telefonino, aprì il portone. Apparve una grande scala lucida dall’aspetto marmoreo.
Carsidia afferrò l’uomo per un braccio e lo condusse sulla scala.
Guardando in alto, Martino si accorse che un solo piano era raggiungibile dalla scala. Era come una corsia lungo la parete tonda dell’edificio. Il resto dello spazio era vuoto come la volta a cupola di una cattedrale o di una moschea. Le immense pareti e la volta erano affollate di stucchi, dipinti e vetrate multicolori. L’idea di una cattedrale gotica trasformata in barocco venne subito in mente a Martino: ne aveva viste tante nel suo paese. Ma c’era qualcosa di profondamente diverso nell’atmosfera. L’uomo qui, guardando in alto, rimaneva stupito dall’immensità della volta, ma non si sentiva intimidito o intimorito dalla sacralità. Forse i colori dei dipinti erano troppo vivaci: sembravano freschissimi, come se quei dipinti fossero stati eseguiti solo qualche giorno prima, con pigmenti purissimi e armonizzati con un gusto inusitato… sulla terra. E, guarda là, i personaggi erano Felpa e Wariti, maschi e femmine, con volti sorridenti e vestiti tutti con tute variopinte. Più in alto, sulla volta, si vedevano dipinti con piante e animali: alberi verdi-blu, fiori, frutti, rettili, rettili volanti, uccelli, bestie pelose, insetti di ogni genere e di ogni colore. Una grande striscia, più o meno a metà della volta, era costituita dalle vetrate, da cui penetrava la luce del sole, ben più forte di quella emessa dalle numerose lampade elettriche.
Quando arrivarono sulla corsia, Martino vide che la parete era occupata tutta da una fila di scanni di legno, simili a quelli di certi cori che si vedono nelle abbazie o in certi parlamenti.
Carsidia prese l’uomo per mano e lo condusse a sedersi su uno di quegli scanni. Le luci si spensero e le vetrate spiccarono in tutto il loro splendore. Martino si accorse con meraviglia che le immagini delle vetrate cambiavano, giravano, si muovevano. Erano proiettate? Intanto dal basso, al centro, stava salendo, come un ascensore, un enorme globo luminescente. Al centro di esso, dove cadeva lo sguardo di Martino, iniziò un filmato. Carsidia, col suo telefonino, abbassò il volume della voce che commentava le immagini in lingua saudarica e assunse il compito del commento in italiano.
“Qui si vedono gli scavi fatti per ritrovare questo libro, insieme ad altri reperti dell’antica civiltà, di cui, fino a 500 anni fa, non si sapeva nulla.
Gli archeologi si stupirono di trovare un libro che conteneva il testo della nostra Costituzione.
Il testo presenta solo tre differenze rispetto a quello attuale, che è stato leggermente modificato circa 300 anni fa.
Vedi? Quello è l’archeologo che ha trovato le prime pagine…”.
Qui Martino la interruppe.
“Vuoi dire che quello è un uomo… un Felpa… no, un Wapiri vissuto 500 anni fa?. A quell’epoca avevate già il cinema a colori? E vestivate alla stessa maniera?”.
“E’ un Wariti” corresse la ragazza.
“Va bene, un Wariti. Ma quando noi, in terra, vediamo un film, anche di dieci anni prima, vediamo un mondo completamente diverso: abiti, case, oggetti diversi. Da noi tutto cambia col tempo. Qui non cambia mai nulla?”.
“Oh, sì che cambia!” rispose la ragazza, mentre il film continuava a scorrere “Ogni giorno cambia qualcosa, ma non si vede molto negli oggetti o nelle fogge. Eppure i cambiamenti ci sono, e sostanziali. Ogni giorno il nostro bagaglio di conoscenze si arricchisce. Ed è un vero bagaglio tangibile, memorizzato sul sistema informatico centrale del pianeta, accessibile a tutti i cittadini. Ogni giorno o ad ogni stagione, si scopre qualche nuova specie vivente, qualche nuovo pianeta nell’universo, qualche nuova caratteristica della materia. Ogni giorno viene affrontato un problema tecnico, scientifico, morale, politico, ecologico, e non sempre viene prontamente risolto. Ma tu pensa alla ricchezza di conoscenze e di esperienze che porta con sé un esploratore dello spazio o anche semplicemente di questa foresta, che, tornando dal suo viaggio, riversa il suo sacco nel mare di scienza collettiva di Saudàr. Una sola di queste conoscenze potrebbe da sola rivoluzionare tutto. Però, oggi, è difficile scoprire qualcosa che ci convinca, per esempio, a buttar via le nostre tute, così comode, eleganti e funzionali, e a scegliere altri tipi di indumenti. Questa foresta, che occupa la maggior parte della terraferma, non viene mai incendiata o tagliata, se non in minima parte, per i piccoli bisogni delle popolazioni civili che mai potranno pericolosamente crescere e moltiplicarsi a scapito delle altre specie viventi. E dunque le specie visibili, quelle che s’incontrano comunemente passeggiando nella foresta o nei giardini, rimangono sempre le stesse. E così tutti gli oggetti, gli utensili di uso comune: chi prenderebbe più un mestolo o una forchetta invece di un telefonino, chi salirebbe su un carro tirato da cropsi invece che su una delle nostre macchine?
Quello che cambia, che non ci fa annoiare, che soddisfa interamente la nostra brama di possesso, non è visibile ad occhio nudo”.
Il filmato intanto era andato avanti senza interessare molto l’uomo: si continuavano a vedere archeologi che scavavano e ripulivano materiali rocciosi più o meno informi.
A questo punto, Carsidia interruppe il filmato e ne avviò un altro in cui si potevano vedere e leggere le pagine della Costituzione.
Assunse un’aria ieratica e iniziò la lettura.


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