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Lunario politico 
(Agosto-Settembre 2009)

Chiedo scusa per avere interrotto questo lunario per ben 4 mesi! La calura estiva, l’anticiclone delle Azzorre, ha fiaccato senza ritegno la mia penna e la mia mente. Ma certamente non solo la mia. Ho vaghi ricordi di vaneggiamenti politici emessi a gran voce, in questi mesi, da eminenti personaggi della politica ufficiale. Parlano di vittorie, di fine dell’emergenza, di un paese felice dove grandi riforme sono state realizzate. Il vanto non è infondato: sono state fatte riforme talmente grandi da spaventare. E alle riforme fatte si aggiungono minacce o promesse di ulteriori riforme di segno prevedibile. E’ un errore chiamare riforme tutte le modifiche alle leggi fondamentali dello stato italiano: alcune dovrebbero chiamarsi controriforme. Il risultato è che in Italia è diventato impensabile stabilire buoni rapporti con impiegati statali, badanti, colf, venditori ambulanti, fruttivendoli, ristoratori, muratori e lavoratori precari: sono tutti piuttosto nervosi e pronti a scendere in piazza per reclamare i loro diritti. Quanto al personale delle compagnie aeree, agli insegnanti, ai giornalisti liberi e ai magistrati, è meglio tenersene lontani: potrebbero mordere.
Tutto va ben, madama la marchesa.
Ma io sono stufo anche delle chiacchiere. I politici, specialmente quando stanno al governo, dovrebbero parlare poco e pensare ad attuare il loro programma elettorale evidentemente piaciuto alla maggioranza degli elettori. Questi politici – ha ragione Beppe Grillo – dovrebbero essere coscienti di essere al servizio del popolo. Io penso che non dovrebbero solo soddisfare le pretese dei loro elettori, ma essere sempre attenti alle proteste, verificare se sono fondate su bisogni reali e generali e, in tal caso, cercare di soddisfarle.
La maggioranza ha ragione? Quasi mai, secondo la mia esperienza pluriennale.
Purtroppo è così. Siamo una specie gregaria e conformista che tende a seguire le orme di chi gli sta davanti e muggisce disperatamente come gli gnu delle savane africane. Solo troppo tardi ci accorgiamo che siamo andati verso una palude infestata da coccodrilli e che i nostri interessi, che ci avevano promesso di curare, sono stati lesi.
In Italia, il mito dell’uomo forte, della guida, del duce, non è mai stato sradicato. Nessuno se ne è mai occupato, con opportune iniziative educative e culturali, ed ora, sia pure in condizioni di formale democrazia, ci siamo di nuovo cascati.
Il modello americano, che, specialmente negli ultimi mesi, ha rafforzato il suo fascino, ci incoraggia a desiderare un sistema elettorale che porti a seguire, applaudire e sostenere un leader, con passione sportiva. Ma là c’è il presidenzialismo che noi non abbiamo e, se cominciamo a desiderarlo, dobbiamo domandarci se non sia piuttosto voglia di monarchia o di tirannia. In ogni caso troppi indizi mi inducono a credere che la maggioranza degli italiani siano caduti in un infantilismo, d’altra parte comune a molti popoli del mondo, che gli impedisce di rendersi indipendenti dalle imposizioni interiori di una figura paterna o materna forte e autoritaria.
Nel centro-destra, c’è stata la signora Brambilla, che ha fondato in un lampo, già da molto tempo, i circoli di Forza Italia. Non so bene se gli stessi circoli sono passati al PDL. Credo di sì.
Ora si chiamano circoli anche quelli del nascente Partito Democratico. Il termine ‘circoli’ non mi piace per quelle che una volta erano le case del popolo o le sezioni dei partiti della prima repubblica. Mi sembra che un circolo possa essere frequentato al massimo da giovani patrizie capricciose, che giocano a ramino o a canasta, o da dirigenti militareschi arroganti, che giocano a bigliardo. Nelle sezioni repubblicane si giocava a scopone scientifico, e Oscar Mammì, qualche anno fa, ne ha scritto una ottima guida. Lo scopone, ma forse anche il poker, potrebbe essere una sana esercitazione propedeutica alla furbizia machiavellica. Il ramino e il bigliardo, forse, svolgono la stessa funzione. Ma è solo una mia supposizione fondata sul nulla. Non sono mai entrato in un circolo.
Intanto il PD ha fatto una bella ‘festa’ a Genova, in preparazione del Congresso e delle elezioni ‘primarie’ per la scelta del Segretario. Le dichiarazioni di tutti i convenuti a Genova sono generalmente condivisibili da chiunque si schieri a sinistra, almeno per fini tattici, finché non si riesca a rimediare alle controriforme perpetrate. Ma non basta. Bisogna scrivere un nuovo programma di governo, possibilmente in poche pagine, oppure in due edizioni, una dettagliata e una consuntiva. Deve essere un programma chiarissimo che contenga tutte le mosse future per un risanamento dell’economia-ecologia italiana. Per la verità questo programma dovrebbe essere pensato come se potesse essere esportato in qualunque parte del mondo, oltre che in qualunque delle nostre regioni, perché ormai è chiaro che se non si risana almeno la foresta amazzonica e non si fermano le guerre e le povertà esistenti in tutto il mondo, le conseguenze disastrose diventano rapidamente globali.
E non si dimentichi il pericolo dell’esplosione demografica. Non se ne parla mai! Ma la terra ha limiti precisi: sicuramente non può nutrire 6 miliardi di persone che consumano quanto gli europei. E noi vogliamo che i bisogni di tutti siano soddisfatti. O no?
A mio parere è barbarico e inefficace un sistema economico fondato sulla necessità di crescere e moltiplicarsi continuamente, perché i figli e i nipoti paghino la pensione dei vecchi.
Nella realtà, oggi, in Italia è difficile trovare una situazione in cui un figlio paghi, col suo lavoro, la pensione del padre. Succede molto più spesso il contrario: il figlio, finché può, attinge alla pensione del padre. E il padre si chiede con apprensione che cosa succederà dopo la sua morte.
A volte muoiono prima i figli, ma qui in giro si vedono morire molti padri. Prima o poi saprò che cosa succede ai figli.
E’ da matti continuare a predicare l’incremento delle nascite, suggerito anche da un assurdo orgoglio ereditario e nazionalista. Bisogna trovare un altro sistema in cui lo stato, su basi scientifiche, stabilisca un limite alle nascite e garantisca una vita onorevole a tutti i viventi.
Tutte le risorse devono essere condivise tra tutti. Non si può permettere che dalle guerre per il petrolio si passi alle guerre per l’acqua e per l’aria. Sono estremista e radicale? Sì: voglio che la Costituzione italiana sia attuata e che ogni cittadino si senta in dovere di lavorare per il bene comune, senza quella stupida catena che lo lega ai suoi interessi personali, rendendolo ricattabile e schiavo.
Per favore, in politica e nelle leggi, non parliamo più di famiglia. Togliamo questa parola da tutti i codici. Non vedete che è una trappola? Serve al legislatore e all’amministratore per scaricare le sue responsabilità su un ente evanescente ed evitare che si stabilisca un rapporto chiaro e diretto tra cittadino e stato (o entità simili allo stato).
La famiglia moderna ha mille situazioni che il placido, incolto, disattento legislatore non riesce a catalogare. E perciò le leggi in cui rientri il concetto di famiglia sono complicate e inconcludenti.
Se è vero che la Repubblica garantisce ad ogni cittadino una esistenza ‘dignitosa’, non resta che stabilire, per esempio, quanti euro sono necessari mensilmente per condurre un’esistenza dignitosa e darli al neo-cittadino finché non trovi un’onesta attività produttiva più remunerativa, per ricominciare a darglieli quando dovesse rimanere disoccupato. E’ di una semplicità lampante.
Mi rendo conto che le mie sono raccomandazioni inattuabili nella frammentarietà globale. Ma il fine di chi abbia a cuore le sorti dell’umanità deve essere per forza una pacifica convivenza che solo la soddisfazione dei bisogni elementari per tutti può procurare.




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