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COMPLOTTISTI

(di Cira Almenti - Ottobre 2021)

I primi complottisti della storia si perdono nella notte del mito. Se non fossero esistiti li si sarebbe dovuti inventare perché sono archetipi e fanno parte della nostra cultura. A inventarli, o a ricordarli, ci pensò Omero. Si chiamano Laocoonte e Cassandra.
Per chi non ricorda i dettagli: dopo dieci anni di assedio alla città di Troia i greci, prima di mollare, tentarono l’ultima carta. Fu un’idea bizzarra dell’astuto Odisseo, per noi latini Ulisse. “Facciamo finta di andarcene e lasciamogli un dono truffaldino: un cavallo di legno pieno di soldati, che loro porteranno dentro le mura. Mentre festeggiano e si ubriacano, i nostri usciranno dal cavallo e ci apriranno le porte.”

“Ma dai, pensi che siano tanto fessi?”
“Tentar non nuoce.”
“Secondo me non la bevono. Bruceranno il cavallo con tutti i soldati dentro.”
“Poco male. Nel viaggio di ritorno meno siamo e meglio stiamo.”
“Ma noi, scusa Odisseo, non siamo capaci di costruire un cavallo di legno così grande, e poi perché proprio un cavallo?”
“Non ti ricordi, Aiace, che ai troiani piacciono tanto i cavalli? E poi mica deve essere così realistico, faremo una specie di botte con quattro pali per zampe e una specie di testa tipo cavallo giocattolo, poi i cantastorie diranno che era un bellissimo cavallo. Dai, proviamo, forse la bevono.”
La bevvero.
Cassandra, sacerdotessa di Apollo, aveva previsto tutto ma nessuno le aveva creduto. Nessuno le credeva mai e anche allora la misero a tacere: “Non ti fidi degli altri perché non hai fiducia in te stessa – le dissero – pensi che i greci adesso ricorrano ai truchetti invece di combattere a viso aperto come hanno sempre fatto, paranoica…”
Laocoonte, sacerdote e veggente, scagliò una lancia contro il cavallo e si udirono tintinnare le armi dei soldati nascosti, ma i troiani pensarono che fossero jingle bells. Laocoonte (nell’Eneide di Virgilio) pronunciò la sua famosa battuta da complottista: “Timeo Danaos et dona ferentes” (ho paura dei greci anche quando portano doni) e mentre declamava questo esametro venne aggredito da due serpenti marini e strangolato insieme con i suoi due figli, come si vede nella superba scultura ellenistica conservata nei Musei Vaticani.

Gli dèi tifavano per i greci e inviando i serpentoni avevano fatto il gioco sleale come si usava allora, incuranti di ogni principio etico. D’altra parte l’etica non era ancora stata inventata. I troiani equivocarono: Poseidone, il dio del mare, voleva certamente fargli capire che non dovevano dar retta a Laocoonte. Era impensabile che un dio a cui erano tanto devoti ce l’avesse con loro. Il cavallo fu trainato dentro le mura e Troia fu distrutta.

In tempi antichi, ma storici, un perfetto complottista fu tal Trasimaco, amico di Socrate. Nella Repubblica di Platone, Trasimaco esprime tutta la sua sfiducia in coloro che detengono il potere: “Puoi davvero credere, o Socrate, che pastori e bovari abbiano di mira il vantaggio delle pecore e dei buoi e li curino e li ingrassino avendo altro scopo che il proprio vantaggio? E pensi che coloro che governano gli stati abbiano verso i propri sudditi una disposizione d’animo diversa da quella che si può avere per delle pecore e che giorno e notte pensino ad altro se non a come poterne trarre un vantaggio?”
Socrate, con la sua logica serrata, si arrampica sugli specchi e arriva in cima: i bovari sono pagati per fare i bovari e quindi hanno già ottenuto il vantaggio che desideravano; non gli resta che fare il loro mestiere meglio che possono per non perdere il lavoro. Dunque, in quanto pastori, agiscono per il benessere di ovini e bovini. Lo stesso fanno i politici, che sono pagati per fare il mestiere ingrato e stressante che fanno. Socrate non riesce a concepire un’avidità illimitata che spinga i più potenti a sfruttare come possono i loro sottoposti e ritiene che i politici possano essere facilmente licenziati, se non lavorano bene, come dei poveri bovari.
Trasimaco invece non riesce a concepire l’umano limite che in situazioni difficili da sbrogliare porta anche i più furbi a commettere errori, senza cattive intenzioni. I partecipanti alla discussione dettero ragione a Socrate.
Grati di essere stati paragonati a dei bovari onesti, i politici ateniesi accusarono poi Socrate di corrompere i giovani e lo condannarono a bere la cicuta.

Veniamo ai complottisti più influenti dei tempi nostri. Complottista fu Rachel Carlson, l’autrice di “Primavera Silenziosa”, l’opera che nel 1962 suonò l’allarme sulla tossicità del DDT, suscitò le ire dell’industria chimica e dette i natali al movimento ambientalista. Il DDT aveva i suoi meriti: eliminando la zanzara anofele aveva fatto sparire la malaria, e il suo inventore aveva vinto il premio Nobel per la chimica. Mentre sparivano le zanzare, però, sparivano anche gli uccelli: le uova per qualche motivo avevano gusci così fragili che si rompevano appena deposte. Invece di accettare il fatto così com’era, la Carlson si mise di tigna a cercare una sostanza colpevole, e la trovò nel DDT, e per giunta scoprì che si accumulava nei tessuti di tutti gli organismi viventi. Se non fosse stato ritirato avrebbe causato un disastro che possiamo solo immaginare.

Quante Cassandre nel movimento ambientalista, prima che diventasse mainstream!
Qualcuno non ricorda che negli anni ’60, 70 e ‘80 gli ecologisti erano universalmente derisi dai politici, dalle chiese e dalla scienza ufficiale, la cosiddetta “scienza” tout court che i benpensanti considerano tuttora come un monolito rivolto univocamente verso il progresso, fonte inesauribile di benessere per l’umanità. Io (iscritta al Wwf da quando avevo otto anni, grazie alla mia intelligente mammina) ricordo benissimo che quando facevo le medie, e anche il liceo, preti e suore sbandieravano quel “Crescete, moltiplicatevi e riempite la terra” pronunciato distrattamente da un certo Signore degli Eserciti quando la terra era vuota per metà e per l’altra metà piena di tigri dai denti a sciabola. Solo davanti all’emergenza preti e suore hanno cambiato idea. Da papa Francesco in poi la chiesa è sempre stata ambientalista.

Solo quando abbastanza scienziati sono passati dalla parte degli ambientalisti anche “la scienza” ha cominciato ad essere sempre stata ambientalista. Prima, con la stessa ridacchiante arroganza dei prelati, gli scienziati d’alto bordo collaboravano con economisti e statisti per la crescita infinita delle colate di asfalto e cemento, dei pozzi petroliferi, delle centrali nucleari. Ogni eventuale problema sarebbe stato risolto in un fulgido futuro. Sembrava un’escatologia infrangibile, ci sono voluti molti incidenti e disastri perché qualcuno di quei signori ridacchianti cominciasse a capire che il problema non sarebbe stato risolto in futuro e quindi bisognava correre ai ripari nel presente.

Un'altra dimenticata epopea del complottismo è la vicenda del tabacco.
Gli indigeni americani lo usavano in piccole quantità a scopo medico o rituale, ma noi occidentali amiamo superare i limiti e passare la misura. Così il tabacco, osannato come panacea per tutti i mali fin da quando fu portato in Europa dalle Americhe, fu osannato fino a dopo la seconda guerra mondiale, come testimoniano le incredibili immagini che, a quell'epoca si trovavano sui giornali e sui cartelli publicitari per convincere i cittadini a fumare e che oggi si espongono come cimeli sui social network e su molti siti privati.
Per chi avesse voglia di qualche esempio eccone un paio qui sotto:

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Nel 1600 il fumo fu proibito sia dal papa Urbano VIII che dallo zar Alessio Mihlailovich Romanov. Il papa lo considerava un “vizio” perché fonte di piacere fisico, lo zar, dopo un grave incendio causato da una cicca ardente, lo considerava un pericolo. Re Giacomo I d’Inghilterra scrisse un trattato contro il fumo, ma il fumo prevalse. Solo i più complottisti pensavano che quel piacere innocente fosse nocivo o addirittura che dietro la diffusione del fumo ai quattro venti ci fosse qualcuno che sfruttava i nicotinomani per fare soldi. Gli interessi economici legati al commercio e al monopolio dei tabacchi divennero enormi, come narra un film del 1999 con Al Pacino: “Insider – dietro la verità”, ispirato alle vere disavventure di un chimico “pentito”, che nel 1995 denunciò le menzogne diffuse dall’industria per cui aveva lavorato. Alle sigarette venivano addirittura aggiunte sostanze che aumentavano la dipendenza.
Così il tabacco, osannato come panacea per tutti i mali fin da quando fu portato in Europa dalle Americhe, fu osannato fino a dopo la seconda guerra mondiale, come testimoniano queste belle immagini pubblicitarie che inalberano prove scientifiche e consigli medici (i nomi delle marche sono stati cambiati).

Grazie a milioni di infarti, enfisemi e tumori è diventato chiaro che i complottisti avevano ragione. Nel 1975 in Italia una prima, timida legge antifumo vietò di far scattare l’accendino sui mezzi di trasporto, negli ospedali e nei cinema, per arrivare con alterne vicende alla legge antifumo del 2003, varata la quale i medici divennero antifumo da sempre.

Che il fumo facesse male era chiaro, a livello clinico, già molto tempo prima della dimostrazione scientifica ufficiale. La tosse grassa, la voce chioccia, i denti gialli e i polmoni neri dei fumatori erano ben evidenti in vivo e in autopsia, ma il culto della prova scientifica permette di negare l’evidenza senza per questo essere tacciati di negazionismo.

Comprensibilmente “la scienza” non vuole saltare alle conclusioni sposando risultati provvisori che potrebbero ancora essere modificati da nuove ricerche. Preferisce conservarsi più monolitica che sia possibile, almeno in apparenza, e scomunicare i dissidenti piuttosto che invertire la marcia – riservandosi di riabilitarli qualora venga appurato che avevano ragione. La chiesa fa lo stesso: niente santi subito. Chi ricorda il dottor Semmelweiss, che insegnò ai medici a lavarsi le mani? Fu rinchiuso in manicomio e prese tante botte da lasciarci la pelle. E santa Giovanna D’Arco? Prima di essere elevata agli onori degli altari fu elevata al rogo. Ma non bisogna vederci dei complotti...

Chi ricorda il talidomide alzi la mano, se ce l’ha.
Era un calmante che doveva curare la nausea delle donne incinte. Fu messo in commercio nel 1957 e procurò gravi malformazioni a migliaia di neonati. I sospetti che tutti quei casi di focomelia fossero da attribuire al nuovo farmaco furono confermati nel 1961 da due ricercatori abbastanza complottisti da non credere a un malaugurato caso, e il talidomide fu ritirato dal commercio tra il 1961 e il 1962. Dopo qualche annetto i focomelici hanno ricevuto scuse e indennizzi, come ci racconta Wikipedia: “Nel settembre 2012 la ditta produttrice del farmaco ha porto le proprie scuse ufficiali in occasione dell'inaugurazione di un memoriale dedicato alle vittime. Dal 5 ottobre 2009 lo Stato italiano riconosce un'indennità mensile alle vittime del talidomide nate tra il 1959 e il 1965...”.

Per quanta indignazione possa essere stata espressa per l’insufficiente sperimentazione del talidomide, la vera sperimentazione di qualsiasi farmaco è quella successiva alla messa in commercio. Medici, pazienti e farmacisti sono pregati di inviare alle case produttrici i risultati della sperimentazione a largo raggio. Chi muore non invia dati, sta ai suoi parenti dimostrare che l’ictus era dovuto proprio al farmaco X e non al gatto nero che aveva attraversato la strada al loro caro il venerdì 13 precedente. Se ci riescono avranno un ìndennizzo, fra una cinquantina d’anni, altrmenti avranno semplicemente partecipato alla raccolta dei dati.

“Non ci sono prove scientifiche” è uno slogan molto popolare. Forse chi lo ripete non sa che la ricerca è un lavoro come un altro, che dipende dai finanziamenti che riceve per produrre qualcosa di utile a chi può permettersi di finanziarla. Lo stato non può permettersi molto: non gli riesce nemmeno di tenere aperti ospedali e università. Una volta sopraggiunti i finanziamenti, le prove scientifiche vanno progettate e poi costruite, e richiedono tempo. C’è bisogno di un campione vario e rappresentativo e almeno un gruppo di controllo. Qualora si voglia verificare se un certo rischio aumenta in seguito alla variazione di una variabile, rimanendo invariate tutte le altre (il problema della ricerca è che mantenere assolutamente invariate tutte le variabili tranne una è possibile solo in teoria), ci vogliono mesi per passare da un “potrebbe aumentare il rischio” a un “può aumentare il rischio” e anni per arrivare ad un “aumenta il rischio”. Intanto migliaia di persone soffrono e muoiono per cause non scientificamente riconducibili alla variabile sospetta.

D’altro canto buoni risultati clinici “non dimostrano scientificamente che Y faccia bene proprio in questo caso”, dove Y è un rimedio alla portata di tutti e senza brutti effetti collaterali. Il culto della prova scientifica ci esime anche dall’usare il buon senso.

Quasi ogni nuovo farmaco risulta letale per qualche persona particolarmente sensibile, allergica o con una piccola mutazione genetica. Quante sono? Le fonti ufficiali nicchiano e i benpensanti si rassegnano: è il prezzo da pagare al progresso. Se la vittima fossi proprio tu, tuo figlio o la tua compagna, diventeresti complottista, cominceresti a pensare che ci sia un motivo ben preciso per cui i rimedi efficaci vengono cassati, quelli tossici vengono adottati e gli effetti negativi vengono negati, ma in genere la vittima è qualcuno che non conosci e che “era già malato”, quindi sarebbe morto comunque prima o poi. O forse è stata colpa sua: non ha detto ai sanitari che aveva quella mutazione genetica che non sapeva di avere. Se poi era sano, pazienza. Tutti moriamo prima o poi.

Io, tu, tuo figlio e la tua compagna siamo numeri piccoli. Alla “scienza” e alla politica interessano i numeri grandi, le medie matematiche su miliardi. Gli individui sono come i soldati greci nel viaggio di ritorno da Troia.

Tira e molla, ormai è scientificamente provato che il fumo fa male, il DDT è tossico, il talidomide fa nascere bambini senza braccia, il particolato fine è letale e le centrali nucleari sono bombe a orologeria, ma per stabilire queste cose pochi tenaci complottisti hano dovuto affrontare l’ira dell’industria e la derisione della scienza ufficiale, della religione ufficiale e di tanti, tanti pappagalli rossi, verdi e gialli.

Veniamo ai giorni nostri... La tecnologia sta togliendo i fili anche alle macchine da cucire. Ogni filo viene sostituito da un campo magnetico che si va ad aggiungere al vaso già pieno di campi magnetici non naturali a cui il nostro organismo viene esposto per la prima volta nella storia dell’umanità. E’ un esperimento planetario, e l’argomento contro i fili è di una logica socratica: non possiamo tornare alle caverne! Come faremmo se il mouse, gli auricolari e la stampante continuassero ad avere un filo? Dovendo sempre correre si rischia di inciampare, con tutti quei fili. Se i fili sono un impiccio, la velocità nell’uso della rete è fondamentale. Come faremmo se non potessimo inviare mille fotografie e cinquanta video in un solo messaggio e in tempo reale lanciare invettive contro centomila contatti contemporaneamente? Come faremmo se i bambini non avessero la possibilità di passare tutta la notte a chattare con cento amichetti per volta e a completare livelli di abilità sempre più alti dei loro videogiochi preferiti, sempre più belli e più realistici, tanto più reali della lenta e noiosa realtà circostante? E i pupetti nelle loro carrozzine dovrebbero forse continuare a giocare con dei pezzi di gomma colorata, pur potendo guardare i cartoni animati sul tablet? Provate a togliere il tablet a un poppante e sentirete che urli! Ne ha bisogno più del latte materno, più delle coccole e del movimento fisico. Potrebbe stare lì a guardare per sempre. Fissare uno schermo, infatti, stimola l’organismo a produrre dopamina e causa dipendenza. Il piccolo schermo del cellulare inoltre, fissato in continuazione per ore nella posizione aggobbata che vediamo assumere da sempre più persone, può causare danni ancora non completamente studiati e documentati, data la novità del fenomeno e gli interessi economici che rappresenta...

https://www.premierhealth.com/your-health/articles/health-topics/screen-addiction-affects-physical-and-mental-health

Forse gli auricolari senza fili e la rete superveloce non erano stati creati per i comuni mortali ma per astronauti, satelliti, spie, aerei militari; per il controllo del traffico, la meteorologia, la prevenzione degli incendi... ma le sonde non si finanziano da sole e allora perché non superare un altro limite e finanziare con i contratti telefonici lo sviluppo illimitato di questa straordinaria tecnologia? E poi passare la misura e cercare di sostituire tutti i fili, cavi e cavetti con campi magnetici? Abolire piano piano telefoni e PC e passare tutto su rete mobile? Resistere è sempre più impegnativo da quando lo smartphone viene imposto come unico mezzo per accedere a servizi che un tempo si potevano gestire da PC, con i fili. Per tutto c’è un’app da scaricare, e chi non vuole scaricare app deve perdere giornate lavorative a cercare i servizi alternativi che, se esistono, sono ben nascosti. A me fanno male gli occhi e la testa a fissare lo schermino del telefonino, sono elettrosensibile e non ho voglia di passare le giornate con la schiena a uncino e il naso perpendicolare al suolo per farmi geolocalizzare, inquadrare e profilare da tutte le app. Mi sono rassegata a pagare l’abbonamento mensile ai mezzi pubblici 30 euro in più di quello che pagherei se avessi scaricato l’app del servizio pubblico di Helsinki e dintorni. Anche le banche vorrebbero che accedessimo ai servizi online solo attraverso app, che per identificarci e firmare scaricassimo delle app...

Qualche complottista dirà che operatori telefonici e produttori di telefonini stanno facendo consapevolmente in modo che videogiochi, social e app varie diano sempre più dipendenza. Lo facevano i produttori di sigarette, dopo tutto, perché non i produttori di mondi virtuali?
Perché quelli sono già stati smascherati e questi ancora no.

Fino al 2002 era vietato disporre antenne radiofoniche e ripetitori telefonici vicino alle abitazioni, e forse ancora non c’erano i 4G. Poi, grazie a un decreto non certo dettato dal buon senso o dalla volontà di tutelare la salute dei cittadini, i ripetitori sono stati liberalizzati.

https://www.laleggepertutti.it/171997_ripetitore-telefonico-vicino-casa-qual-e-la-distanza-di-sicurezza

Oggi ci sono i 5G, che usano le frequenze più alte di tutti i tempi e hanno bisogno di antenne ravvicinate, così i ripetitori stanno apparendo a frotte sui palazzi delle nostre città.

https://www.ehsinsight.com/blog/is-5g-a-health-and-safety-hazard

Sono arrivati silenziosi sull’onda della pandemia mentre eravamo agli arresti domiciliari, troppo impegnati ad aver paura dell’aria per pensare ad altro. Non ci sono prove scientifiche che i ripetitori siano dannosi – e non ci saranno finché gli operatori telefonici finanzieranno le ricerche – ma ci sono molti studi indipendenti che puntano nella direzione del pericolo. Per esempio questo, svolto per l’unione Europea dall’istituto Ramazzini di Bologna:

https://www.europarl.europa.eu/RegData/etudes/STUD/2021/690012/EPRS_STU(2021)690012_EN.pdf

Nei conflitti di interesse, l’interesse della grande industria trascina con sé stato e “scienza”, anche se alcuni scienziati indipendenti smascherano e denunciano. Qui di seguito un articolo in italiano o quasi (il traduttore automatico ha fatto del suo peggio) e il blog del prof. Lennart Hardell, complottista, oncologo e ricercatore all’università di Örebro (Svezia)

https://www.orwell-news.ch/5g-la-scienza-indipendente-internazionale-smaschera-prof-martin-roeoesli-berenis-e-icnirp/

https://lennarthardellenglish.wordpress.com/category/5g/

Quanto ci vorrà per dimostrare scientificamente che i campi elettromagnetici sempre più potenti che ci vengono imposti sono davvero dannosi per la salute? Gli studi indipendenti si accumulano, ma gli operatori telefonici dall’alto dei cieli fanno lo stesso gioco degli dèi antichi quando l’etica non era ancora stata inventata: mandano qualche serpentone a confondere le acque. Adesso poi, fra un update e un upgrade, l’etica è superata. Aristotele non la aggiorna più.

Intanto non solo gli elettrosensibili, che “la scienza” considera malati immaginari, non solo quelli che “tanto fra una decina d’anni sarebbero morti comunque” ma anche bambini e adolescenti stanno male. Da quanto leggo sui giornali qui in Finlandia, il paese più digitalizzato del mondo, fra le ragazzine delle medie una su 5 soffre di malattie croniche, anoressia, bulimia, insonnia o depressione (o tutto quanto insieme) e un giovane (d’ambo i sessi) su 4 viene indirizzato verso i servizi psichiatrici, che non sanno più come gestire questo diluvio di pazienti. In entrambi i casi gli psichiatri denunciano la pressione esercitata sui giovani dal dover essere perfetti a scuola (dall’asilo all’università, e tutti devono essere ferrati nelle stesse materie, cioè in matematica), nei mille hobby obbligatori, sul lavoro e sui social: un mondo finto su cui la maggior parte dei ragazzini perde il sonno, la capacità di socializzare dal vivo e il contatto con la realtà non virtuale. Le ragazzine delle medie ammettono di essere dipendenti dai social e dallo smartphone, capiscono che così non va bene ma sanno che non possono smettere.

Una volta si asseriva che lo scopo del progresso fosse il benessere dell’umano consesso. Lo si asserisce ancora, ma per umano consesso si intendono i grandi numeri: fatturati, statistiche, tendenze, congiunture, PIL. La sofferenza umana invece è l’insieme di tanti problemi individuali, di numeri piccoli che non diventano mai grandi. Numeri grandi e piccoli sono concetti qualitativamente diversi. Se ogni individuo fosse infelice sarebbe pur sempre un numero piccolo; sette miliardi di individui infelici sarebbero comunque un numero piccolo.

L’individuo, il soggetto dei diritti umani, è diventato irrilevante. Progredendo tecnologicamente stiamo tornando socialmente al premoderno. Nei paesi cosiddetti democratici stato, “scienza” e industria entrano senza più chiedere permesso nella vita privata dei cittadini a imporre scelte che pesano sempre di più sulla salute psicofisica dell’individuo, proprio come nei regimi totalitari, e con il plauso della folla.

Il progresso non si può fermare. “Non c’è ritorno” è un’altra tiritera alla moda. Saremo digitali per sempre, e sempre di più. Purtroppo non ci è dato scegliere quali aspetti del progresso vogliamo assimilare. Ci sono tanti sviluppi positivi, come l’uso delle risorse rinnovabili, l’architettura verde, le protesi intelligenti, la chirurgia non invasiva e le telefonate gratuite, ma prendere ciò che è utile e rifiutare elettrosmog, profilazione e dipendenza richiede sforzi titanici e risorse che le persone normali, sempre stanche morte, non hanno. Se pensiamo che sia un privilegio essere nati in questo grandioso esperimento in cui la carne vivente viene incrociata con il microchip, accetteremo di pagarne il prezzo: dobbiamo adeguarci alla tecnologia. La tecnologia che usiamo non ci serve più, siamo noi a servire lei. Il suo progresso non è più un mezzo e non ha più un fine: è il fine. Solo i complottisti si chiedono perché bisogni a tutti i costi superare i limiti e passare la misura.

Per adeguarci alla tecnologia dobbiamo rinunciare alla salute, al sonno, alla tranquillità. L’ambiente accelerato e digitalizzato in cui viviamo non piace quasi a nessuno, non è fatto per la nostra biologia, vorremmo scappare ... ed ecco che il digitale stesso ci fornisce la via di fuga nelle sue bolle virtuali dove miriadi di fatine e di bestioni muscolosi saltano da un grattacielo all’altro, sparando come cowboy e tirando sberle come samurai. Le bolle virtuali sono l’oppio dei popoli, li tengono incollati ai telefonini e i popoli le amano. Certo, l’oppio fa male, e i complottisti continuano a domandarsi: ma se questa situazione fa male a tutti, perché ci stiamo dentro? Cui prodest?

Domande inutili. La maggior parte dell’umanità si sta adeguando con un’abnegazione sorprendente. Sembra che le moltitudini abbiano finalmente trovato il loro dio e abbiano compreso che il fine della loro piccola esistenza è conoscerlo, amarlo e servirlo.

Mi riesce difficile pensare che dietro tutto ciò non ci sia un complotto ai danni dell’intera umanità, per sfoltirla con il massimo della sofferenza e il minimo della consapevolezza. Ma forse dietro tutto ciò non c’è assolutamente niente. I tempi cambiano da soli, senza che nessuno, gruppo o individuo, politico o scienziato, possa veramente controllare gli eventi.
Un gruppo di giovani ingegneri, tecnicamente e matematicamente superdotati ma socialmente ed emozionalmente ritardati, abituati a chiedersi “come funziona?” ma non “a che serve?” continua entusiasticamente a sfornare tecnologia per il puro piacere di sfornarla e vederla in azione, e senza alcun motivo questi giovani ingegneri dominano il mondo. Ma non lo fanno apposta.
State contenti, umana gente, al quia... (Divina Commedia, Purg III, 37)
E forse i politici sono semplicemente degli idioti che cercano di barcamenarsi e sbagliano qualsiasi cosa facciano.

Un giorno le cose cambieranno? Un giorno la scienza ufficiale insorgerà contro i ripetitori piazzati sui tetti dei palazzi? Poi, lasciatemi sognare, verrà la legge antigiga?
Per ora, insieme a pochi altri complottisti elettrosensibili, spengo lo smartphone ogni sera e mi unisco al piccolo coro delle Cassandre e dei Laocoonti.

Il coro sarà sempre piccolo perché solo chi sia in grado di analizzare e disinnescare il linguaggio pubblicitario può resistere al fascino ipnotico del mondo virtuale. Ma l’analisi critica non è più di moda. I giovani sono instradati dalle università, che ormai sembrano licei con i loro programmi a tunnel, a ragionare come ingegneri e vedere il mondo dal punto di vista dell’industria. Se poi qualcuno sbrocca e si suicida, pazienza, gli individui sono sempre troppi. I bravi ingegneri considerano “ignoranti e complottisti” coloro che non si fidano dell’autorità e cercano motivi, connessioni e strutture dietro e dentro l’informazione che piove dall’alto. Quanti grandi nomi della sociologia, della psicologia, della psicolinguistica e psicologia sociale sarebbero liquidati come ignoranti e complottisti, se gli studenti li conoscessero!

La parola “complottista” è usata dai media ufficiali e dai pappagalli come un insulto, ma io che sono complottista fino al midollo posso suonare l’altra campana: il/la complottista è chi spinge lo sguardo oltre lo schermo del televisore, chi si accorge che la logica ufficiale fa acqua, che uno slogan non diventa meno assurdo ripetendolo e un ashtag non trasforma un’azione criminale in un bel gesto, che un errore è un errore anche se lo commette la maggioranza e una legge ingiusta è ingiusta pur essendo legge. Chi è complottista non crede agli scopi dichiarati delle autorità e cerca un progetto dietro il caos apparente delle sparate e delle smentite, esorta i poveri a unirsi invece di farsi guerra tra loro, difende la propria integrità fisica e psichica e non si sacrifica ai grandi numeri.

Oggi però è inutile esortare e cercare di aiutare. Chi ha una testa propria la usi in silenzio e nasconda la lampada sotto il moggio. Inutile discutere con i pappagalli, si ricevono sputi e insulti e nessuno cambia idea. La maggioranza dell’umanità, come i troiani nella notte del mito, ha deciso più o meno consapevolmente di immolarsi. Siamo troppi, e se un miliardo di persone devono perire, tanto vale che periscano volentieri. L’unico regalo che Laocoonte e Cassandra possano fare all’umanità è mettersi in salvo sulle montagne più alte dove l’aria è pulita e i telefoni non prendono, perché fra i superstiti non ci siano solo pappagalli.



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